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PAROLE PER CRESCERE

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                 LA TARTARUGA ACHILLE




                 Il nuovo arrivato, una tartaruga, fu battezzato Achille e si ri-
                 velò una bestiola intelligentissima, simpatica e dotata di un
                 particolare senso dell’umorismo.

                 Lo lasciammo libero in giardino: poteva andare dove voleva.
                 Imparò presto il suo nome, e bastava che lo chiamassimo una
                 o due volte ed eccolo che arrivava, avanzando in punta di piedi

                 con la testa e il collo protesi.
                 Gli piaceva farsi imboccare, e se ne stava regalmente acquatta-
                 to al sole mentre noi gli porgevamo pezzetti di lattuga, bocche
                 di leone o chicchi d’uva.

                 Ma i frutti che ad Achille piacevano di più erano le frago-
                 le selvatiche. Gli bastava vederle per diventare assolutamente
                 pazzo: si muoveva di qua e di là, sporgeva la testa per vedere

                 se gliene davate qualcuna e vi fissava implorante con quei suoi
                 occhietti che parevano bottoncini.
                 Oltre alla passione per le fragole, in Achille divenne sempre

                 più forte quella per la compagnia umana. Bastava che qualcu-
                 no andasse in giardino a prendere il sole o a leggere, e subito
                 si sentiva un fruscio tra le piante e la faccia seria e rugosa di

                 Achille si affacciava tra le foglie. Se stavi seduto in poltrona, si
                 avvicinava il più possibile ai tuoi piedi e là cadeva in un sonno
                 tranquillo e profondo, con la testa pendula dal guscio e il naso
                 appoggiato al terreno.

                 Se però stavi sdraiato su una stuoia a prendere il sole, Achille
                 era convinto che fossi disteso semplicemente per farlo diver-

                 tire. Veniva barcolloni giù dal sentiero e montava sulla stuoia
                 con un’espressione di estatica felicità sulla faccia. Si fermava,
                 ti studiava attentamente, e poi sceglieva un punto della tua
                 anatomia sul quale fare pratica di alpinismo.

                 Trovarsi tutt’a un tratto confitte nella coscia le unghie aguzze
                 di una tartaruga testarda che tenta di issarsi per raggiungere il
                 tuo stomaco, non è uno svago distensivo.

                 Se te lo scrollavi di dosso e portavi la stuoia altrove, Achille
                 girava arcigno per il giardino finché non ti aveva ritrovato.

                                       Gerald Durrell, La mia famiglia e altri animali, Adelphi


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