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LA MIA PROVA
10 appartamento in città, chiesi a mia madre se potevo invitarlo a venire a prendere
il tè da noi.
– Immagino di sì, caro – disse lei. – Spero solo che sappia parlare inglese.
Quella di mamma con la lingua greca era una battaglia persa. Il giorno prima, per
esempio, aveva lavorato faticosamente tutta la mattinata, preparando per il pran-
15 zo una certa deliziosissima minestra. Giunta con soddisfazione alla fine dell’ope-
ra, aveva versato la minestra in una zuppiera, porgendola poi alla cameriera. La
cameriera l’aveva guardata con aria interrogativa, al che mamma aveva pensato
bene di usare una delle poche parole greche che era riuscita a imparare a me-
moria. «Exo» aveva detto in tono fermo, ondeggiando le braccia. «Exo». Poi era
20 tornata a occuparsi della cucina, girandosi però appena in tempo per vedere la
cameriera versare le ultime gocce di minestra nel lavello. L’episodio, com’è natu-
rale, aveva rafforzato le diffidenze di mamma circa le proprie capacità linguistiche.
Indignato, risposi che Theodore parlava un inglese eccellente, anzi, persino mi-
gliore del nostro. Tranquillizzata, mamma mi suggerì di scrivergli un biglietto, in-
25 vitandolo da noi per il giovedì successivo.
Il giorno convenuto passai due ore d’angoscia ciondolando in giardino, aspettan-
do che Theodore arrivasse, scrutando ogni due minuti oltre la siepe di fucsie, in
preda alle più terribili emozioni. Forse il mio biglietto non gli era arrivato. O forse
gli era arrivato, ma lui se l’era cacciato in tasca e poi si era dimenticato dell’invi-
30 to, e adesso stava conducendo qualche interessante ricerca dalla parte opposta
dell’isola. O magari aveva sentito parlare della mia stramba famiglia e non gli an-
dava di venire a casa nostra. Se quest’ultima ipotesi si fosse rivelata esatta, giurai
a me stesso che questa ai miei non l’avrei mai perdonata. Ma in quel momento
ecco comparire Theodore, vestito con un elegante completo di lana scozzese: se
35 ne veniva a grandi passi su per l’uliveto, facendo dondolare il bastone da passeg-
gio e canterellando fra sé. La borsa da raccolta gli pendeva dalla spalla e faceva
parte di lui come le braccia o le gambe.
Con mia grande gioia, Theodore riscosse presso la mia famiglia un successo
istantaneo e clamoroso. Si rivelò capace, con schiva cortesia, di parlare di mito-
40 logia, poesia e storia veneziana con Larry; delle migliori zone di caccia dell’isola
con Leslie; di diete dimagranti con Margaret; di ricette contadine e di libri gialli
con mamma. I miei reagirono proprio come avevo reagito io la prima volta che
ero andato a trovarlo. Theodore era un tale pozzo di scienza che lo bombardaro-
no di domande e lui, senza il minimo sforzo, come un’enciclopedia ambulante,
45 rispose a tutti, aggiungendo di suo qualche comicissimo aneddoto sull’isola e i
suoi abitanti.
A un certo punto, provocando la mia irritazione, Larry sostenne che Theodore
avrebbe dovuto scoraggiare il mio interesse per la storia naturale perché, come
fece notare, la villa era piccola e già traboccava di ogni genere di insettacci su cui
50 arrivavo a mettere le mani.
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