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LA MIA PROVA
– No, – disse mamma – non è questo il problema. Ciò che mi preoccupa è piut-
tosto il sudiciume in cui va a razzolare. Mi creda, Theodore, quando Gerry rientra
da qualche passeggiata con Roger, il nostro cane, deve cambiarsi da capo a piedi.
Non so cosa ci faccia coi vestiti.
55 Theodore emise un leggero grugnito di divertimento.
– Mi ricordo di una volta – disse mettendosi in bocca un pezzo di torta e masti-
candolo metodicamente, la barba arruffata e gli occhi vivaci e ridenti – che stavo
andando a prendere il tè da certi... uhm... sapete, certi amici miei, qui a Perama.
A quell’epoca stavo nell’esercito ed ero piuttosto orgoglioso del fatto di essere
60 stato appena nominato capitano. Così... ehm... sapete... ehm... per pavoneggiarmi
indossai l’uniforme, che comprendeva stivali e speroni perfettamente lucidi. Presi
il traghetto, sbarcai a Perama e, mentre attraversavo a piedi un breve tratto palu-
doso, vidi una pianta che non conoscevo. Così volli osservarla meglio. Mossi qual-
che passo su quello che sembrava terreno solido e improvvisamente affondai fin
65 quasi alle ascelle. Fortunatamente c’era un alberello lì vicino e io... ehm... riuscii
ad aggrapparmici e a tirarmi fuori. Ma adesso ero imbrattato, dalla vita in giù, di
fango nero e maleodorante. Il mare era... ehm, sapete... era piuttosto vicino, così
io... ehm... pensai che fosse meglio essere zuppo di acqua di mare pulita piuttosto
che coperto di fango. Andai sulla spiaggia e cominciai a sguazzare avanti e indie-
70 tro nell’acqua. Il caso volle che proprio in quel momento sulla strada passasse un
pullman. E appena mi videro in uniforme, con tanto di cappello e cappotto, che
me ne andavo a zonzo per il mare, l’autista frenò perché i passeggeri potessero...
ehm... osservare meglio. Erano tutti piuttosto sconcertati, ma restarono veramen-
te di stucco quando uscii dall’acqua e si accorsero che portavo anche gli stivali e
75 gli speroni.
Il racconto suscitò molte risate.
Dopo quella prima volta, Theodore prese l’abitudine di venire da noi almeno un
giorno a settimana, e anche di più, se poteva, cioè se riuscivamo a distoglierlo
dalle sue numerose attività.
80 Nel frattempo ci eravamo fatti numerosissimi amici tra le famiglie contadine
che vivevano dalle nostre parti, e la loro ospitalità era così festosa che persino
la passeggiata più breve si protraeva indefinitamente, perché a ogni casetta cui
arrivavamo dovevamo sederci a mangiare qualche frutto insieme coi padroni di
casa, passando un po’ di tempo con loro. Questa indirettamente si rivelò un’ot-
85 tima cosa per noi, perché ognuno di questi incontri migliorava la nostra non
grande padronanza del greco, tanto che ben presto ci accorgemmo di essere
diventati capaci di sostenere conversazioni piuttosto complesse coi nostri nuovi
amici corfioti.
Gerald Durrell, L’isola degli animali, Neri Pozza
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